Capitolo N°12: «La scomparsa dei promessi»

La visione che appare a Renzo una volta arrivato a Milano, è frutto di una rivolta popolare, nella quale è coinvolta tutta la popolazione della città. Il motivo scatenante, secondo il popolo, sarebbe una finta carestia utilizzata come pretesto dal vicario di provvisione per alzare ingiustamente il prezzo del pane. Tuttavia la carestia era ben presente nel territorio milanese, non essendo quindi un’invenzione come suggerito dai cittadini. Il giovane, seguendo il flusso della folla, ritrova nel mezzo di un assalto ad un forno in particolare: il Forno delle Grucce. Come in ogni attacco ai forni, l’edificio viene svuotato e danneggiato brutalmente. Dopo l’assalto la folla si dirige verso la casa del vicario di provvisione, il quale è considerato all’origine della falsa carestia della città.
Luoghi citati nel capitolo:

Il forno delle Grucce:
Nella strada chiamata la Corsia de’Servi, c’era, e c’è tuttavia un forno, che conserva lo stesso nome; nome che in toscano viene a dire il forno delle grucce, e in milanese è composto di parole così bisbetiche. così selvatiche, che l’alfabeto della lingua non ha i segni per indicarne il suono. A quella si avventò il forno delle grucce non esiste più, ma è rimasta una targa.
La Corsia de’ Servi è diventata Corso Vittorio Emanuele (la targa si trova tra i numeri civici 3 e 5)
Il duomo di Milano:
...per la strada che costeggia il fianco settentrionale del duomo, e ha preso nome dagli scalini che c’erano, e da poco qua non ci sono più. La voglia d’osservar gli avvenimenti non poté far che il montanaro, quando gli si scoprì davanti la gran mole, non si soffermasse a guardare in su con la bocca aperta.(..);voltò il canto, diede un’occhiata anche alla facciata del duomo, rustica allora in gran parte e ben lontana dal compimento; e sempre dietro a colui, che andava verso il mezzo della piazza. La gente era più fitta quanto più s’andava avanti, ma il portatore gli si faceva largo: egli fendeva l’onda del popolo, e Renzo, standogli sempre attaccato, arrivò con lui al centro della folla. Lì c’era uno spazio vòto, e in mezzo, un mucchio di brace, reliquie degli attrezzi detti sopra. All’intorno era un batter di mani, un frastono di mille grida di trionfo e d’imprecazione.


Il palazzo del Vicario di Provvisione:
Palazzo dei Giureconsulti in Piazza de’ Mercanti. (GONIN)
La statua di Filippo II fu sostituita ai tempi del Manzoni con quella di Marco Bruto, a sua volta eliminata. La nicchia venne poi occupata da una statua di Sant’Ambrogio opera di Luigi Scorzini su modello di Pompeo Marchesi, che fu installata nel 1833 in seguito a curiose vicissitudini.
Palazzo della Borsa ai Giureconsulti, 1860, Civica raccolta delle stampe Achille Bertarelli (statua S.Ambrogio)
Durante i bombardamenti del 1945 il Palazzo venne seriamente danneggiato soprattutto nella sua ala destra. Si resero necessari, dunque, provvedimenti per la messa in sicurezza dell’edificio, che trovarono pieno completamento solo con l’ultimo intervento effettuato nel 1989. Il restauro, intrapreso da Gianni Mezzanotte nel 1989 su committenza della Camera di commercio, ha interessato l’edificio nella sua globalità, coinvolgendone anche, per la prima volta, l’aspetto distributivo, archeologico e strutturale, fino ad arrivare anche al restauro delle superfici.
Questo, dalla piazza, era già entrato nella strada corta e stretta di Pescheria vecchia, e di là, per quell’arco a sbieco, nella piazza de’ Mercanti. E lì eran ben pochi quelli che, nel passar davanti alla nicchia che taglia il mezzo della loggia dell’edifizio chiamato allora il collegio de’ dottori, non dessero un’occhiatina alla grande statua che vi campeggiava, a quel viso serio, burbero, accipigliato, e non dico abbastanza, di don Filippo II, che, anche dal marmo, imponeva un non so che di rispetto, e, con quel braccio teso, pareva che fosse lì per dire: ora vengo io, marmaglia.
Quella statua non c’è più, per un caso singolare. Circa cento settant’anni dopo quello che stiam raccontando, un giorno le fu cambiata la testa, le fu levato di mano lo scettro, e sostituito a questo un pugnale; e alla statua fu messo nome Marco Bruto. Così accomodata stette forse un par d’anni; ma, una mattina, certuni che non avevan simpatia con Marco Bruto, anzi dovevano avere con lui una ruggine segreta, gettarono una fune intorno alla statua, la tiraron giù, le fecero cento angherie; e, mutilata e ridotta a un torso informe, la strascicarono, con gli occhi in fuori, e con le lingue fuori, per le strade, e, quando furon stracchi bene, la ruzzolarono non so dove. Chi l’avesse detto a Andrea Biffi, quando la scolpiva!
Dalla piazza dei mercanti, la marmaglia insaccò, per quell'altr’ arco, nella via dei fustagnai, e di lì si sparpagliò nel Cardusio. Ognuno al primo sboccarvi, guardava subito verso il forno ch’era stato indicato. Ma in vece della moltitudine d’amici che s’aspettavano di trovar lì già al lavoro, videro soltanto alcuni starsene, come esitando a qualche distanza della bottega, la quale era chiusa, e alle finestre gente armata, in atto di star pronti a difendersi.