Capitolo N°29: «In fuga dalla guerra»

Don Abbondio è molto preoccupato dalla minaccia degli Lanzichenecchi. Disperato chiede aiuto ai passanti per farsi scortare in qualche posto sicuro, implora ogni anima viva ,purché possa offrirgli protezione, aiuto. Tutte i paesani che passano davanti al curato hanno ben di meglio a cui pensare e nessuno se ne cura più di tanto. Perpetua consiglia a Don Abbondio di nascondere tutto ciò che non è possibile portare via, poiché si era deciso di lasciare il paese ed andare a cercare aiuto altrove. Agnese arriva in soccorso dei due, proponendo loro di andare al castello dell'Innominato per ricevere la sua protezione. Durante il viaggio decidono di sostare a casa del Sarto il quale aveva ospitato Lucia. Con Quest’ultimo,
parleranno della conversione dell’Innominato, cosa di cui Don Abbondio non è ancora molto convinto.
Luoghi citati nel capitolo:
Don Abbondio spaventato:
Le notizie dell'arrivo dei lanzichenecchi nel territorio di Lecco e delle loro scorrerie si spargono in un baleno e giungono ben presto anche al paese di don Abbondio, dove il curato è in preda a un autentico terrore. L'uomo vorrebbe fuggire, ma non sa che partito prendere: i monti non sono sicuri, poiché i lanzichenecchi arrivano anche lì nella speranza di far bottino, il lago è in tempesta e le poche barche disponibili sono già partite cariche di gente, col pericolo di affondare. Non ci sono carri o calessi in paese e don Abbondio a piedi non potrebbe far molta strada; il territorio di Bergamo non sarebbe lontano, ma si sa che il confine è presidiato da uno squadrone di mercenari inviati dal governo di Venezia e dunque quella direzione non è sicura. Don Abbondio cerca inutilmente di consigliarsi con Perpetua, la quale dal canto suo è indaffarata a nascondere gli oggetti di valore in vista di una prossima fuga e mal sopporta la paura e l'irresolutezza del suo padrone.
«Qui tra i poveri spaventati troviamo persone di nostra conoscenza. Chi non ha visto don Abbondio, il giorno che si sparsero tutte in una volta le notizie della calata dell’esercito, del suo avvicinarsi, e de’ suoi portamenti, non sa bene cosa sia impiccio e spavento. Vengono; son trenta, son quaranta, son cinquanta mila; son diavoli, sono ariani, sono anticristi; hanno saccheggiato Cortenuova; han dato fuoco a Primaluna: devastano Introbbio, Pasturo, Barsio; sono arrivati a Balabbio; domani son qui: tali eran le voci che passavan di bocca in bocca; e insieme un correre, un fermarsi a vicenda, un consultare tumultuoso, un’esitazione tra il fuggire e il restare, un radunarsi di donne, un metter le mani ne’ capelli. Don Abbondio, risoluto di fuggire, risoluto prima di tutti e più di tutti, vedeva però, in ogni strada da prendere, in ogni luogo da ricoverarsi, ostacoli insuperabili, e pericoli spaventosi. “Come fare?” esclamava: “dove andare?»
Don Abbondio e i compaesani:
In quel momento entra in casa Agnese per fare una proposta importante: la donna è in agitazione per via dei lanzichenecchi, tanto più che ha ancora con sé parecchi degli scudi avuti a suo tempo dall'Innominato e teme perciò sia gli invasori stranieri che le insidie dei compaesani. Si rammenta che l'Innominato le aveva promesso aiuto in caso di bisogno e il suo castello sarebbe un rifugio perfetto dove trovare riparo dalle scorrerie; don Abbondio potrebbe aiutarla a farsi riconoscere dall'ex-bandito, per cui la donna propone al curato e a Perpetua di unirsi a lei nel viaggio verso il confine col Bergamasco, dove sorge l'inespugnabile fortezza dell'Innominato. La proposta viene accolta con entusiasmo da Perpetua, che fuga i dubbi del padrone e lo esorta a mettersi subito in cammino, anche se il curato dapprima teme di andarsi a cacciare in una trappola, poi vorrebbe trovare un uomo che accompagnasse lui e le due donne nel cammino.
«Agnese, risoluta anche lei di non aspettare ospiti di quella sorte, sola in casa, com’era, e con ancora un po’ di quell’oro dell’Innominato, era stata qualche tempo in forse del luogo dove ritirarsi. Il residuo appunto di quegli scudi, che ne’ mesi della fame le avevan fatto tanto pro, era la cagion principale della sua angustia e della irresoluzione, per aver essa sentito che, ne’ paesi già invasi, quelli che avevan danari, s’eran trovati a più terribil condizione, esposti insieme alla violenza degli stranieri, e all’insidie de’ paesani.»
Don Abbondio e le donne a casa del sarto:
Ben presto appare all'orizzonte il paese del sarto che sorge vicino al castello dell'Innominato, per cui Agnese propone di andare a salutare l'uomo e la sua famiglia che a suo tempo avevano ospitato lei e Lucia. Don Abbondio accetta a patto di non trattenersi più del dovuto, giacché non sono certo in viaggio per divertimento. Il sarto e la sua famiglia riservano a don Abbondio e alle due donne una calorosissima accoglienza, specie ad Agnese che si abbandona a un pianto dirotto tra le braccia della moglie dell'uomo, rispondendo alle molte domande su Lucia. Il curato rivela il loro progetto di rifugiarsi al castello dell'Innominato, cosa che il sarto approva in quanto quel luogo è sicuro; lui e la sua famiglia non dovrebbero correre pericoli, dal momento che il paese è troppo lontano dalla strada dei lanzichenecchi.
«Dirò, signor curato: propriamente in ospitazione, come lei sa che si dice, a parlar bene, qui non dovrebbero venire coloro: siam troppo fuori della loro strada, grazie al cielo. Al più al più, qualche scappata, che Dio non voglia: ma in ogni caso c’è tempo; s’hanno a sentir prima altre notizie da’ poveri paesi dove anderanno a fermarsi.” Si concluse di star lì un poco a prender fiato; e, siccome era l’ora del desinare, “signori,” disse il sarto: “devono onorare la mia povera tavola: alla buona: ci sarà un piatto di buon viso. ”Perpetua disse d’aver con sé qualcosa da rompere il digiuno. Dopo un po’ di cerimonie da una parte e dall’altra, si venne a patti d’accozzar, come si dice, il pentolino, e di desinare in compagnia. I ragazzi s’eran messi con gran festa intorno ad Agnese loro amica vecchia. Presto, presto; il sarto ordinò a una bambina (quella che aveva portato quel boccone a Maria vedova: chi sa se ve ne rammentate più!), che andasse a diricciar quattro castagne primaticce, ch’eran riposte in un cantuccio: e le mettesse a arrostire.»
L 'Innominato dà rifugio al suo castello:
Quando poi iniziano le scorrerie delle soldatesche germaniche nella regione molte persone capitano al castello per chiedere ricovero e l'Innominato glielo concede volentieri, specie perché ora tutti guardano la fortezza come baluardo e difesa, mentre un tempo essa era simbolo di paura e dominio. L'uomo, anzi, fa spargere la voce che chi volesse rifugiarsi lì contro i lanzichenecchi sarebbe il benvenuto, quindi prende ogni precauzione per presidiare l'intera valle contro arrivi non graditi; raduna i pochi bravi rimasti al suo servizio e li istruisce su come difendere il luogo, senza spaventare coloro che vi si sono rifugiati.
«Ma quando, al calar delle bande alemanne, alcuni fuggiaschi di paesi invasi o minacciati capitarono su al castello a chieder ricovero, l’Innominato, tutto contento che quelle sue mura fossero cercate come asilo da’ deboli, che per tanto tempo le avevan guardate da lontano come un enorme spauracchio, accolse quegli sbandati, con espressioni piuttosto di riconoscenza che di cortesia; fece sparger la voce, che la sua casa sarebbe aperta a chiunque ci si volesse rifugiare, e pensò subito a mettere, non solo questa, ma anche la valle, in istato di difesa, se mai lanzichenecchi o cappelletti volessero provarsi di venirci a far delle loro.»