Capitolo N°28: «La tragedia della Storia»

Ferrer pubblica delle grida che proibiscono l'accumulo del pane e ne limitano lo spostamento al di fuori dei confini della città di Milano. Questo provvedimento semina miseria nelle strade della città. Il panorama è apocalittico: cadaveri e poveracci distesi ovunque. Il duca viene avvertito dai medici del pericolo della peste portata dall’esercito mercenario dei Lanzichenecchi, ma decide di ignorare l’avvertimento. I mendicanti e tutte le persone apparentemente colpite dalla peste, vengono concentrate nel lazzaretto o raccolte in grossi cumuli su dei carri dai monatti. Come se tutto ciò non fosse già abbastanza, le truppe di Rambaldo di Collalto saccheggiano la città e ne decretano la condanna alla peste e alla miseria.
Luoghi citati nel capitolo:
Passaggi urbani di Milano:
Quattro disgraziati, impiccati come capi del tumulto: due davanti al forno delle grucce, due in cima della strada dov’era la casa del vicario di provvisione.
A ogni passo, botteghe chiuse; le fabbriche in gran parte deserte; le strade, un indicibile spettacolo, un corso incessante di miserie, un soggiorno perpetuo di patimenti. Gli accattoni di mestiere, diventati ora il minor numero, confusi e perduti in una nuova moltitudine, ridotti a litigar l’elemosina con quelli talvolta da cui in altri giorni l’avevan ricevuta.
Garzoni e giovani licenziati da padroni di bottega, che, scemato o mancato affatto il guadagno giornaliero, vivevano stentatamente degli avanzi e del capitale; de’ padroni stessi, per cui il cessar delle faccende era stato fallimento e rovina; operai, e anche maestri d’ogni manifattura e d’ogn’arte, delle più comuni come delle più raffinate, delle più necessarie come di quelle di lusso, vaganti di porta in porta, di strada in istrada, appoggiati alle cantonate, accovacciati sulle lastre, lungo le case e le chiese, chiedendo pietosamente l’elemosina.
Qua e là per le strade, rasente ai muri delle case, qualche po’ di paglia pesta, trita e mista d’immondo ciarpume. E una tal porcheria era però un dono e uno studio della carità; eran covili apprestati a qualcheduno di que’ meschini, per posarci il capo la notte. Ogni tanto, ci si vedeva, anche di giorno, giacere o sdraiarsi taluno a cui la stanchezza o il digiuno aveva levate le forze e tronche le gambe: qualche volta quel tristo letto portava un cadavere: qualche volta si vedeva uno cader come un cencio all’improvviso, e rimaner cadavere sul selciato.
Il Lazzaretto:
Il lazzeretto di Milano (se, per caso, questa storia capitasse nelle mani di qualcheduno che non lo conoscesse, né di vista né per descrizione) è un recinto quadrilatero e quasi quadrato, fuori della città, a sinistra della porta detta orientale, distante dalle mura lo spazio della fossa, d’una strada di circonvallazione, e d’una gora [18] che gira il recinto medesimo. I due lati maggiori son lunghi a un di presso cinquecento passi; gli altri due, forse quindici meno; tutti, dalla parte esterna, son divisi in piccole stanze d’un piano solo; di dentro gira intorno a tre di essi un portico continuo a volta, sostenuto da piccole e magre colonne.
Le stanzine eran dugent’ottantotto, o giu di lì: a’ nostri giorni, una grande apertura fatta nel mezzo, e una piccola, in un canto della facciata del lato che costeggia la strada maestra, ne hanno portate via non so quante. Al tempo della nostra storia, non c’eran che due entrature; una nel mezzo del lato che guarda le mura della città, l’altra di rimpetto, nell’opposto. Nel centro dello spazio interno, c’era, e c’è tutt’ora, una piccola chiesa ottangolare.
La spedizione in Italia del Cardinale Richelieu:
In seguito alla presa della rocca della Rochelle, il cardinale Richelieu aveva portato le truppe francesi in Italia, causando il ritiro da Casale del Monferrato di quelle spagnole di don Gonzalo (governatore di Milano) e lasciando poi una guarnigione al passo di Susa, salvo ritirarsi proprio quando le soldatesche dell'imperatore si apprestavano a entrare in Lombardia per cingere d'assedio la città di Mantova.
Mentre l'esercito francese si allontana da una parte, dall'altra si avvicina minaccioso quello delle soldatesche imperiali (i Lanzichenecchi) dirette ad assediare Mantova, le quali attraversano il Cantone dei Grigioni e la Valtellina e si apprestano a entrare nel territorio di Milano.
Il cardinal di Richelieu, presa, come s’è detto, la Roccella, abborracciata alla meglio una pace col re d’Inghilterra, aveva proposto e persuaso con la sua potente parola, nel Consiglio di quello di Francia, che si soccorresse efficacemente il duca di Nevers; e aveva insieme determinato il re medesimo a condurre in persona la spedizione. Mentre si facevan gli apparecchi, il conte di Nassau, commissario imperiale, intimava in Mantova al nuovo duca, che desse gli stati in mano a Ferdinando, o questo manderebbe un esercito ad occuparli.
Calata su Milano dei Lanzichenecchi:
Eran vent’otto mila fanti, e sette mila cavalli; e, scendendo dalla Valtellina per portarsi nel mantovano, dovevan seguire tutto il corso che fa l’Adda per due rami di lago, e poi di nuovo come fiume fino al suo sbocco in Po, e dopo avevano un buon tratto di questo da costeggiare: in tutto otto giornate nel ducato di Milano.
Colico fu la prima terra del ducato, che invasero que’ demòni; si gettarono poi sopra Bellano; di là entrarono e si sparsero nella Valsassina, da dove sboccarono nel territorio di Lecco.