Capitolo N°32: «L’incubo del contagio»

Manzoni continua la sua riflessione sull’evolversi della situazione a causa della peste. La città diventa sempre più popolata da persone contagiate, il Consiglio dei decurioni decide di ricorrere al governatore Spinola. I provvedimenti sono insufficienti e la città diventa preda dei contagi, provocando disperazione e follia nella gente. I magistrati di Milano prendono un'altra decisione, ovvero chiedere al cardinal Borromeo di fare una processione solenne per le vie della città, partendo dalla chiesa di San Carlo, in modo da invocare l’aiuto divino. La città rimane comunque un luogo infernale, popolato da appestati e monatti [Un monatto era un addetto pubblico che nei periodi di epidemia pestilenziale era incaricato dai comuni di trasportare nei lazzaretti i malati o i cadaveri. n.d.r.]. Il loro dominio su ogni cosa è il risultato del crollo delle istituzioni sociali politiche. Manzoni nell’ultima parte del capitolo si sofferma sul tema della catastrofe della ragione di ogni uomo che crea paure e illusioni. Nella città circolano storie su congiure diaboliche.
Luoghi citati nel capitolo:
Duomo Milano e chiesa di Sant'Antonio:
Il capitolo narra della situazione politica, ecclesiastica e dell’insoddisfazione popolare durante il periodo della peste del 600, quando la chiesa organizza una processione per la città portando in giro la salma di San Carlo. Vengono inoltre citati due episodi di violenza popolare: il primo avvenne nella chiesa di Sant’Antonio dove un vecchio fece per pulire la panca nella quale pregava e venne accusato di essere un untore e picchiato, il secondo fu analogo; il fatto avvenne quando tre francesi in Italia per fare fortuna appoggiarono una mano sul muro del Duomo di Milano e vennero anch’essi picchiati dalla folla.
Nella chiesa di sant’Antonio:
«Un giorno di non so quale solennità, un vecchio più che ottuagenario, dopo aver pregato alquanto inginocchioni, volle mettersi a sedere; e prima, con la cappa, spolverò la panca. “Quel vecchio unge le panche!” gridarono a una voce alcune donne che vider l’atto. La gente che si trovava in chiesa (in chiesa!), fu addosso al vecchio; lo prendon per i capelli, bianchi com’erano; lo carican di pugni e di calci; parte lo tirano, parte lo spingon fuori; se non lo finirono, fu per istrascinarlo, così semivivo, alla prigione, ai giudici, alle torture. “Io lo vidi mentre lo strascinavan così,” dice il Ripamonti: “e non ne seppi più altro: credo bene che non abbia potuto sopravvivere più di qualche momento.»
Duomo Milano:
«L’altro caso (e seguì il giorno dopo) fu ugualmente strano, ma non ugualmente funesto. Tre giovani compagni francesi, un letterato, un pittore, un meccanico, venuti per veder l’Italia, per istudiarvi le antichità, e per cercarvi occasion di guadagno, s’erano accostati a non so qual parte esterna del duomo, e stavan lì guardando attentamente. Uno che passava, li vede e si ferma; gli accenna a un altro, ad altri che arrivano: si formò un crocchio, a guardare, a tener d’occhio coloro, che il vestiario, la capigliatura, le bisacce, accusavano di stranieri e, quel ch’era peggio, di francesi. Come per accertarsi ch’era marmo, stesero essi la mano a toccare.»